L’inclusione sociale passa anche attraverso lo sport. Ne sono convinti – e a ragione – a PlayMore! United, un club sportivo milanese dove ragazze e ragazzi italiani e stranieri insieme praticano sport come calcio, basket, yoga, running, beach volley… a fianco di sportivi volontari. PlayMore! è un modello di inclusione possibile e ha portato la sua esperienza all’interno di Work in Progress, di cui è partner.
Ne abbiamo parlato con Pietro Palvarini, vice-presidente di PlayMore!, e Lorenzo Tomai, operatore di Comunità Progetto e membro dello staff di PlayMore!
«All’interno di Work in Progress erano previsti 8 incontri in altrettante scuole superiori della città, dove incontrare gli studenti e parlare loro del contesto migratorio da cui arrivano i nostri ragazzi, a cui sarebbero seguiti degli allenamenti insieme, studenti e protagonisti di WiP, sul campo di PlayMore! Dopo un primo incontro che si è svolto nel febbraio 2020, a pochi giorni dallo scoppio della pandemia, tutto si è però bloccato a causa del Covid, che ha imposto alle scuole lunghe chiusure», esordisce Palvarini.
Dopo il primo lockdown si è provato a riproporre l’attività alle scuole già individuate, ma con scarso successo. Il rischio era che questa importante attività si arenasse ma, grazie al coinvolgimento dei volontari di PlayMore! che hanno collaborato con gli operatori dell’équipe Integrazione di Work in Progress, si è riusciti a farla ripartire.
Spiega ancora Pietro: «Tutti siamo stati ingaggiati nella ricerca di nuove scuole, a cui abbiamo proposto una modalità più flessibile, con uno/due incontri in classe più un invito facoltativo a venirci a trovare il sabato mattina al centro sportivo. E devo dire che ha funzionato. Sfruttando anche i contatti dei nostri allenatori, abbiamo portato a casa tutti gli incontri che avevamo in programma, non solo nelle superiori ma anche in alcune scuole medie di Milano e provincia, con un successo che è anche andato oltre le nostre aspettative. Anche scuole che non abbiamo coinvolto, infatti, ci stanno contattando per chiederci di portare questa attività da loro».
E le reazioni degli studenti?
«Durante questi incontri c’è un clima emotivo sempre molto forte. Abbiamo modulato gli interventi a scuola a seconda dell’età degli studenti, dandogli di volta in volta un taglio diverso. E c’è sempre stata molta attenzione e partecipazione. Per esempio una volta una classe ha quasi rinunciato a fare l’intervallo, per rimanere ad ascoltare le storie dei nostri ragazzi», racconta Lorenzo Tomai.
Che dice ancora: «È un’esperienza utile sia per gli studenti, che hanno la possibilità di ascoltare storie che difficilmente hanno modo di conoscere; ma c’è un impatto forte anche per i nostri ragazzi, che hanno l’occasione di raccontarsi e buttare fuori le loro emozioni. E questo gli fa bene, come gli fa bene vedere che il loro racconto suscita interesse e sensazioni in coetanei che hanno esperienze totalmente diverse».
«Raccontare le proprie storie rende i minori stranieri protagonisti in positivo e punti di riferimento i loro coetanei italiani, che hanno la possibilità di non vederli più come dei “poverini”, ma come persone che hanno avuto difficoltà enormi nella vita, ma si stanno “facendo il mazzo” e ce la stanno facendo. E questo fa bene anche all’autostima dei nostri ragazzi ed esperienze del genere possono servire loro anche in altri contesti, perché, per esempio, imparano a parlare in pubblico e a gestire lo stress», aggiunge Palvarini.
Ma non ci si è fermati qui. L’esperienza di inclusione attraverso lo sport è stata protagonista anche al Festival Generazioni dell’Università Bicocca e si sono aperte nuove strade, come il coinvolgimento di un gruppo di giovani protagonisti del progetto del Comune di Milano “Raggiungimi a scuola”.
«Si tratta di 15 ragazzi e ragazze “neo-ricongiunti” tra i 15 e i 18 anni. Sono appena arrivati in Italia, dove hanno raggiunto le loro famiglie, e sono tuttora molto spaesati; alcuni non ancora a scuola e stanno imparando la lingua. Ci hanno contattati loro per capire se si poteva fare qualcosa insieme e così da ottobre abbiamo organizzato allenamenti e momenti di gioco. Sono stati contenti perché hanno potuto fare qualcosa che gli piaceva. E ho trovato molto bello che dopo gli incontri programmati, 6 di loro siano tornati spontaneamente a PlayMore! per continuare a fare sport insieme».
Gli incontri, le relazioni e gli intrecci nati da questa esperienza sanno di futuro: «Con Work in Progress abbiamo messo dei semi, di cui vedremo i frutti nei prossimi anni», conclude Pietro.