Djiby giunge presso il Centro di Cure Primarie e Accoglienza INTERSOS24 a luglio 2018, intercettato in strada dal team mobile di INTERSOS poco dopo il suo arrivo a Roma. Djiby è minorenne, ma al suo arrivo in Italia viene registrato come maggiorenne. Sin da subito Djiby crea con il team di INTERSOS24 un rapporto di fiducia e collaborazione e, determinato a sistemare la sua situazione documentale e a costruire il suo futuro in Italia, riesce a farsi mandare dal Senegal il certificato di nascita comprovante la sua vera età. Una volta ricevuta la documentazione necessaria, gli operatori del Centro accompagnano Djiby alle autorità competenti e inizia così la procedura di accertamento dell’età che si conclude con l’effettivo riconoscimento della sua minore età.
Djiby viene così inserito in un centro di accoglienza per minori vicino a Roma quando ha già 17 anni. Il centro lo supporta nella procedura di richiesta del permesso di soggiorno e nel suo percorso formativo. Compiuti i 18 anni, nell’estate del 2019, è però costretto a lasciare il centro per effetto della legge 132/18, e si trova nuovamente per strada.
È dopo due mesi e mezzo di vita in strada che rincontra gli operatori del team mobile di INTERSOS, che gli offrono accoglienza presso il Centro INTERSOS24. Djiby ritorna al centro con un po’ di sconforto, temendo che ormai, dopo tutto quello che ha sopportato, il suo progetto migratorio sia completamente fallito. Non si perde però d’animo e ricomincia ad andare a scuola per ottenere la licenza media. Assieme allo staff di INTERSOS24, inizia anche il percorso necessario al rinnovo del documento.
Il permesso di soggiorno scadrà infatti a marzo 2020: è necessario che trovi un lavoro e ottenga il passaporto per poterlo rinnovare. Si iscrive quindi al Centro per l’impiego che, unitamente ad altri sportelli di orientamento al lavoro, lo supportano nella ricerca attiva di un impiego. Inoltre, grazie al progetto Pass4you inizia la procedura di richiesta del passaporto, pratica molto onerosa sia in termini economici che logistici. Per richiedere il passaporto senegalese, infatti, deve prima richiedere il rilascio della carta di identità senegalese, e per fare ciò si deve recare personalmente al Consolato del Senegal a Milano. Questa procedura richiede un minimo di sei mesi e vari viaggi a Milano, che Djiby può compiere supportato dal progetto Pass4you e dalla rete locale.
“A dicembre sono andato a Milano due giorni per chiedere la carta dìidentità in Consolato. Mi ha accompagnato Marco al Consolato, non è stato per niente facile fare la richiesta, ci abbiamo messo 3 ore. Per fortuna un funzionario del Consolato molto disponibile e buono mi ha aiutato” racconta Djiby “ho poi aspettato due mesi prima che il documento fosse pronto. Quando il documento è arrivato è scoppiato il coronavirus… ho visto la carta d’identità solo in foto finora”.
Infatti, proprio quando la carta di identità senegalese è finalmente pronta e Djiby stava per recarsi a Milano per ritirarla e richiedere il passaporto, la Lombardia viene dichiarata zona rossa. È l’inizio della crisi sanitaria legata al coronavirus, Roma è ancora attiva, ma il nord Italia è già completamente fermo e viaggiare è altamente sconsigliato.
“Non è stata colpa mia, né di nessun altro, il virus ha bloccato tutto e non sono potuto andare a Milano. So di non essere il solo in questa situazione, lo siamo tutti insieme, quindi non mi sento né bene né male” continua lui.
Nel frattempo, Djiby si inserisce in un progetto di accoglienza diffusa in famiglia del CIR e si trasferisce così a vivere a casa di una signora Senegalese ed il suo figlio diciottenne. Inizia anche a lavorare allo stadio, lavoro che però è terminato con lo scoppio dell’emergenza.
Quando il 9 Marzo l’Italia viene dichiarata interamente zona rossa e, progressivamente, iniziano a venire chiuse tutte le attività commerciali e produttive, moltissimi lavoratori interrompono la propria attività e la libertà di movimento di tutti e tutte viene limitata al minimo. Il governo italiano stanzia un bonus di 600 euro per i lavoratori autonomi ed occasionali, per supportare la popolazione in questo momento di grande precarietà sociale. Djiby avrebbe diritto a tale bonus, dato il suo precedente lavoro, ma purtroppo non vi riesce ad accedere poiché non è in possesso di residenza.
“L’ultima volta che ho lavorato è stato a inizio marzo, prima del lockdown. Senza il lavoro è difficile, mi manca molto lavorare. Mi preoccupa cosa succederà quando questa situazione sarà finita perché il mio contratto è finito e dovrò trovarmi un nuovo lavoro e rinnovare il documento [..] Chissà quando potrò ritornare a Milano a prendere la mia carta d’identità e chiedere il passaporto.”
Ad ogni modo, trascorre questo periodo presso l’abitazione della signora, preoccupato per il futuro che attende l’Italia, il mondo, il suo paese, preoccupato per cosa ne sarà di lui e della sua situazione documentale, del suo lavoro, ma comunque in un clima di serenità e sicurezza.
“In questo periodo parlo con gli amici, leggo, dormo e faccio qualche passeggiata sempre con la mascherina [..] Sono molto preoccupato, anzi moltissimo, per il coronavirus. Prima potevo uscire, andavo al lavoro, ora non si può uscire, ho perso il lavoro. La vita è cambiata completamente. Il virus è molto pericoloso, può colpire tutti e bisogna stare attenti e organizzarsi.” Ci racconta poi di essere molto preoccupato per la signora che lo sta ospitando, perché lavora come infermiera, ma sta pregando per lei, perché vada tutto bene.
Ci salutiamo condividendo una canzone per ciascuno di noi significativa e Djiby sceglie una canzone senegalese, che ci canta. Ci spiega che gli piace particolarmente perché il cantante nella canzone dice che nella vita si vuole circondare solo di persone buone e sensibili, che gli infondano coraggio, e questo rispecchia un po’ il suo modo di vivere.