Quali sono gli abusi che rischiano di subire ragazze e ragazzi stranieri nel loro percorso di accoglienza e inclusione sociale? Quali strumenti possono mettere in campo le organizzazioni che si occupano di minori stranieri non accompagnati per prevenire questi rischi? Come comportarsi quando si verifica un abuso nei confronti di un minore affidato alla propria organizzazione?
A queste e altre domande ha cercato di rispondere il corso di formazione in “Child Safeguarding”, proposto da Save the Children a tutti i partner del nostro progetto e sollecitato dagli enti promotori di Never Alone Italia, il programma all’interno del quale si svolge Work in Progress. L’obiettivo, come ha spiegato Viviana Valastro di Never Alone Italia, è stimolare le organizzazioni che lavorano con i minori stranieri non accompagnati a dotarsi di meccanismi di prevenzione e reazione, prima che si verifichino delle emergenze.
Il corso si è svolto giovedì 25 febbraio ed è stato condotto da Andrea Astuto ed Elisa Vellani.
Che cos’è il “Child Safeguarding”
Per spiegare che cos’è il child safeguarding, si può partire da due premesse.
Da un lato, l’articolo 19 della Convenzione ONU dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, che sancisce il diritto dei minori a essere protetti da ogni forma di maltrattamento, abuso o sfruttamento da parte di chiunque. “Questa – ha detto Andrea Astuto – è una rivoluzione copernicana, perché si passa dall’idea di bisogno a quella di diritto dei minori e quindi del dovere degli adulti di proteggerli”.
Dall’altro, la definizione di abuso minorile secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità e cioè ogni comportamento, volontario o involontario, da parte di adulti che danneggi il minore. Le forme più frequenti di abuso sui minori sono: l’abuso fisico, psicologico o affettivo, sessuale, la violenza assistita e l’incuria. Un abuso è caratterizzato poi dall’asimmetria di potere tra il minore che lo subisce e le persone che hanno responsabilità su di lui. Quasi sempre, infatti, un abuso si verifica in ambito familiare o perifamiliare o ancora nei servizi ecc.
Fatte queste premesse, per child safeguarding si intende quindi la responsabilità di un’organizzazione nel garantire che il suo staff, i suoi partner, le sue attività e programmi non arrechino danno ai minorenni con cui entrano in contatto e portino, al contrario, sempre beneficio.
Prevenire e rispondere
Prevenire, cioè minimizzare i rischi di nuocere, e rispondere in maniera tempestiva sono i due elementi chiave per una child safeguarding efficace.
Per quanto riguarda la prevenzione, ogni organizzazione deve valutare i rischi sui propri programmi (self assessment), per verificare che non arrechino danno ai beneficiari.
Anche al proprio interno, perché anche piccole condotte involontarie possono essere dannose. Per questo è necessaria un’adeguata selezione del personale che ha a che fare con i minori, compresi i volontari, e una loro formazione. Ogni organizzazione dovrebbe poi dotarsi di un codice di condotta – chiaro, semplice e accessibile – che definisca i comportamenti da evitare e le relative risposte qualora questi si verifichino.
LINK: esempio codice di condotta save the children
La prevenzione si fa anche formando e informando i beneficiari, mettendoli in guardia sui rischi che potrebbero correre, anche all’interno dell’organizzazione che si occupa di loro.
Sul versante della risposta, occorre mettere in campo una gestione puntuale ed efficace di ciò che è già avvenuto o sta avvenendo, innanzitutto mettendo in sicurezza la vittima, raccogliendo gli elementi per poter stendere un rapporto esaustivo da segnalare ai responsabili dell’organizzazione e alle autorità di tutela dei minori, facendo attenzione a non “rivittimizzare” la vittima.
Infine, le misure adottate vanno costantemente monitorate, verificate e, se necessario, revisionate.
Child safeguarding e minori stranieri non accompagnati
La child safeguarding, importantissima sempre quando si ha a che fare con bambini e ragazzi, diventa ancor più importante e sfidante per chi si occupa di minori stranieri non accompagnati. Ha spiegato infatti Elisa Vellani: “Occorre tenere a mente che i minori stranieri non accompagnati sono più vulnerabili, perché hanno già avuto un vissuto traumatico, come la separazione dalla famiglia e l’esperienza del viaggio per arrivare in Italia. E spesso accade che un operatore fatichi a capire se c’è abuso in corso o se il trauma deriva da esperienze precedenti. L’invito che rivolgiamo con questo incontro è quindi quello di contestualizzare le indicazioni generali di child saveguarding per minimizzare rischi di nuocere a minore, anche involontariamente”.